Eppure si può fermare il dumping

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L'Espresso

4 marzo 2018

Colloquio con Thomas Piketty di Roberta Carlini

Altro che Trump: la corsa al regalo fiscale per le multinazionali l’ha avviata l’Europa. E ora la gara al ribasso è senza limiti: non si fermerà neanche all’aliquota zero. L’unico modo per invertire la rotta è creare un fisco europeo per i profitti, con una base comune e aliquota unica, che finanzi un fondo per gli investimenti nell’eurozona.

Thomas Piketty, volto più noto della pattuglia di economisti che studiano le diseguaglianze e il modo per combatterle, da tempo propugna la necessità di imposte sovranazionali per riequilibrare i pesi fiscali tra il lavoro tartassato e la ricchezza che corre per il mondo libera ed esentasse. Per questo è entrato nella Commissione indipendente per la riforma della tassazione societaria internazionale, che dopo due anni di lavori ha appena pubblicato la sua proposta per mettere il sale sulla coda dei profitti delle multinazionali. Che, scegliendo “à la carte” come in un ristorante i regimi tributari a cui assoggettarsi, di fatto decidono quando, come e dove pagare le tasse, con una perdita di gettito mondiale stimata in almeno 500 miliardi di dollari all’anno.

La riforma fiscale Usa è apprezzata dal mondo degli affari, e secondo alcuni sta anche avendo un ruolo nella ripresa economica. Altri temono che scateni una corsa al ribasso nella fiscalità per le multinazionali...

«C’è un forte rischio che la riforma Trump porti a una nuova ondata di competizione fiscale. Quanto alla tassa sui profitti societari, la corsa al ribasso in realtà è partita in Europa: l’aliquota sui profitti era attorno al 40-50 per cento nella maggior parte dei Paesi europei nei primi anni Novanta, si è gradualmente ridotta al 20-30 per cento o anche meno del 10 per cento, se guardiamo al trattamento fiscale agevolato che Paesi come Lussemburgo e Irlanda stanno applicando a grandi multinazionali.

Fino a Trump, gli Stati Uniti hanno mantenuto un’aliquota sui profitti societari del 35 per cento, e un’imposta addizionale a livello di Stati attorno al 10 per cento: dunque il tasso totale era più alto che in Europa. Ora che gli Stati Uniti stanno riducendo l’aliquota dell’imposta federale attorno al 20 per cento, c’è il rischio che qualche Paese tagli ancor di più. E quando avremo un’aliquota dello zero per cento, che faremo? Bene, la corsa può continuare in territorio negativo: sussidiare i capitali per attrarre investimenti. Per questo abbiamo bisogno di una risposta collettiva razionale: altrimenti non ci sarà mai fine».

Nella campagna elettorale italiana il tema fiscale è stato molto presente, ma non in questi termini. Il centrodestra, ad esempio, ha promesso la flat tax sui redditi personali. Però si è parlato pochissimo del buco aperto dal dumping fiscale delle multinazionali...

«A tutti piacerebbe pagare meno tasse e ridurre il carico fiscale sul lavoro, i consumi, la proprietà, il capitale, eccetera. Tuttavia abbiamo bisogno di finanziare la scuola, la salute, le infrastrutture, le pensioni, dunque il tema è trovare una distribuzione del carico fiscale che sia equa ed efficiente. Se riduciamo fino ad arrivare a zero l’aliquota effettiva pagata dalle grandi società e dalle persone che possiedono ingenti patrimoni, alla fine ci troveremo a sovratassare i redditi bassi e medi. Tutto ciò non va bene per la creazione dei posti di lavoro ed erode il consenso politico attorno allo stato sociale e fiscale europeo».

Lei è ottimista riguardo alla riforma della governance dell’Unione europea, dopo il piano Macron? Pensa che potrà aumentare le probabilità di una buona riforma della tassazione delle multinazionali in Europa?

«Il problema è che finora non si è vista alcuna proposta concreta su come organizzare una eurozona più democratica, e come portare maggiore giustizia fiscale e più investimenti in Europa. I quattro Paesi più grandi - Germania, Francia, Italia e Spagna - fanno il 75 per cento del totale del Pil dell’eurozona. Devono prendere la guida del processo e proporre agli alleati la creazione di un parlamento dell’eurozona, che abbia il potere di votare una base fiscale comune e un’aliquota comune sui profitti societari, e finanziare  un fondo per gli investimenti nell’eurozona. Questa assemblea potrebbe essere composta in primo luogo da membri dei parlamenti nazionali (che hanno il potere di votare tasse e spese), in proporzione della popolazione di ciascuno Stato. Sfortunatamente i leader di Francia e Germania preferiscono tenere il potere per se stessi. Ma tutto ciò non funziona! Per questo sarebbe importante che venissero fuori delle proposte forti proprio dall’Italia». 

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